In questo post ti propongo un racconto in cui condivido i miei pensieri su come valutare il danno da segnalazione illegittima.
E’ un format a cui mi sono ispirato leggendo grandi scrittori otto e novecenteschi. Ne ho già pubblicati altri due:
… il primo – l’esperimento – parla di mutui >> clicca qui per leggerlo
… il secondo di come contestare i conti correnti
Se ti piacciono, hai trovato ispirazione, ti ci “sei visto” o ne hai tratto valore in qualche modo, fammelo sapere iscrivendoti alla newsletter gratuita cliccando sul link qui sotto:
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E ora … buona lettura.
Arrivò in anticipo rispetto all’orario che aveva concordato con la segreteria.
L’umore non era di quelli giusti. Erano tempi difficili per John.
Da qualche mese doveva stava lottando letteralmente ogni fottuto giorno con tutti i fornitori e con tutti i clienti. Per motivi diversi ma sempre per lo stesso motivo. Denaro.
I fornitori battevano cassa perché tutte le loro fatture erano pesantemente in ritardo. Non certo perché non si fidavano di John. Molte delle loro fatture erano tornate indietro insolute, creando ammanchi nelle casse aziendali. Volevano rientrare.
John aveva comunque bisogno di loro. L’azienda continuava a lavorare, a prendere commesse e produrre. Ma all’epoca dell’incontro era costretto a pagare alla consegna o, in dei casi, all’ordine per avere tutto ciò che desiderava.
Con i clienti era un tiro e molla. Anche loro erano abituati a pagare a 30, 60 o 90 giorni, gli italiani. Fortuna che gli esteri – rappresentanti circa i ¾ del fatturato totale – saldavano sempre in anticipo.
Solo che di questi periodi John aveva necessità di riscuotere prima anche dai connazionali e non tutti erano comprensivi e compassionevoli.
Poi c’erano le banche. Le 5 banche con cui stava rientrando gradualmente con i piani di rateazione concessi dopo l’avvenimento del “fatto” ma la puntualità dei pagamenti drenava liquidità, e lo avrebbe fatto per molti mesi a venire.
E in più, non prestavano neanche più un soldo all’azienda.
Ma che era successo di così tanto grave per l’imprenditore John?
La ditta aveva una clientela interessante che acquistava in quantità, lasciando a John dei margini nella media di mercato. Il fatturato era buono.
Eppure stava arrancando, l’equilibrio finanziario era precario.
La azienda di John era stata “segnalata” qualche tempo prima.
La banca X – una delle 5 – decise che non fosse più meritevole di credito. Troppo “esposta” rispetto al fatturato che aveva.
Fu così che la direzione non rinnovò i fidi all’esito dell’ultima revisione annuale.
Di che tipologia si sta parlando?
Tutti i tipi possibili.
Anticipo all’importazione, aperture di credito in conto corrente, smobilizzo crediti SBF.
Tutti utilizzati per oltre 300mila Euro.
La banca revocò tutto il plafond – lasciando ovviamente John scoperto per l’intera esposizione utilizzata all’epoca.
In centrale rischi l’evento fu subito segnalato.
Nelle voci accordato operativo il valore passò da un bell’ “X” a “0”. Da un mese all’altro. L’utilizzato, invece, rimase invariato.
John era “scoperto”. Brutto colpo per lui. Ma anche per gli altri 4 istituti.
Non aveva soldi per bonificare 300.000 Euro tutti in una volta. Avrebbe voluto, certo, ma non era pronto a farlo.
Sarebbe stato difficile anche farseli prestare. Ci voleva tempo.
Quindi tentennò un attimo. E per qualche settimana lasciò perdere, in attesa di una chiamata della banca per capire insieme come poter uscire dall’impasse e risolvere la situazione.
Dopo qualche settimana, come detto, la banca comunicò il recesso formale dei rapporti con richiesta di rientro in 15 giorni – fatto impensabile per John, la cui azienda non aveva certo in cassa 300.000 Euro.
O meglio, li aveva come valore, ma erano tutti investiti nell’azienda, nel ciclo operativo, nel magazzino, nei crediti (solo con i clienti italiani). Non è che poteva dismettere l’equivalente di 300.000 Euro di magazzino per far fronte a questo impegno compromettendo parte del lavoro.
Non so bene cosa fare, pensò John. E’ la prima volta in carriera che mi ritrovo a dover scegliere chi pagre o no … banca, fornitori o dipendenti?
Per il momento le altre banche erano di supporto. In tutto per 1.000.000 di Euro, tra anticipi e scoperti. Ma di lì a poche settimane avrebbero senz’altro visto nella centrale dei rischi quella loro collega che aveva deciso di revocare i fidi.
In realtà andò peggio.
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La banca che aveva revocato segnalò l’azienda di John a “sofferenza”. E da lì fu panico generale. Tipo crollo della borsa di Wall Street del ‘29. Fu un fuggi fuggi.
Ecco come andò.
John scoprì la segnalazione a “sofferenza” dal direttore imprese di un altro istituto.
<< Vedo che sei segnalato John. Che è successo? Ci dobbiamo preoccupare? >>
<< Sono molto sorpreso anche io. La X ha scelto di non rinnovarmi i fidi. Non avevo la liquidità nell’immediato per rientrare ed ho atteso del tempo. Non immaginavo certo che si arrivasse a questo punto. Anche perché l’azienda è solida, lavora, fattura e fa margini. Certo, sai anche te che per mantenere il giro d’affari ho necessità di utilizzare – spesso a massima capienza – gli affidamenti, che si autoliquidano sempre puntuali>>
<< Certo, conosco bene la tua azienda. Però, sai, la segnalazione a sofferenza potrebbe creare dei fastidi anche a noi. Dovresti trovare il tempo di giustificare per iscritto ciò che mi hai detto >>
<< Lo farò senz’altro >> chiosò John.
La banca del direttore con cui parlò John in questo frangente fu l’unica a mantenere tutti i fidi in essere – seppur per accordati inferiori.
Gli altri decisero di chiudere i rubinetti e, uno alla volta, intimarono il rientro.
Fu un problema per l’azienda. Senza credito ed anticipi non aveva la forza per “anticipare” gli ordini ed evadere le commesse. Che infatti ne perse una parte.
Una parte dei fornitori esteri non accettarono lettere di credito o pagamenti a termine.
Qualche cliente non accettò neppure di pagare l’ordine in anticipo e per l’intero. Quelli più comprensibili lo fecero, permettendo a John di galleggiare e di tenere in piedi l’impresa.
Durante i mesi successivi il fatturato calò mai i margini si mantennero all’incirca nella media degli ultimi anni. Passò qualche tempo e la tempesta si calmò, seppur lasciando non pochi strascichi. L’imprenditore non poteva lasciar correre. Era in gioco la saluta della sua creatura, costruita, forgiata e fatta crescere negli ultimi 15 anni.
“La segnalazione a sofferenza ha generato una spirale perversa. Ha fatto chiudere i rubinetti agli altri fornitori di denaro danneggiando la mia attività. Davvero la mia azienda merita di chiudere i battenti o di soffrire per colpa di una segnalazione a ‘sofferenza’?”
Era un pensiero ricorrente per John. Al che si mise a cercare.
Su internet intravide la possibilità di poter contestare la segnalazione a sofferenza. Non tutte le segnalazioni erano uguali, a quanto pare. Una azienda fallita poteva essere a sofferenza allo stesso modo di una attiva e prospera come quella di John?
Qualcosa non tornava.
“Se la segnalazione non ci fosse stata, magari avrei avuto un problema da risolvere solo con la banca che mi ha revocato gli affidamenti. Forse tutte le altre mi avrebbero lasciato in bonis. Avrei potuto continuare a lavorare senza intoppi e magari concordare un rientro dilazionato un rientro con la banca senza danneggiare nessun altro.” pensò.
Certo che se non avessi avuto la forza di contrattare con clienti e fornitori non so dove sarei adesso. Sarei stato capace di soddisfare i clienti e mantenere i dipendenti?
Avrei perso tutto. Per colpa di una segnalazione a sofferenza.
Ma come funziona una sofferenza? Se fosse non legittima? Avrei chance di richiedere qualche forma di danno?”
La testa di John era esplosiva. E continuava a cercare. Fino a che non si imbattè in un articolo di blog che descriveva come quantificare il danno per lucro cessante per illegittima segnalazione in centrale dei rischi.
Lo lesse con attenzione (ndr clicca su questo link se vuoi farlo anche tu).
Poi ricevette questa newsletter che dava alcuni consigli sul tema.
Fu una bella presentazione.
Non ci pensò due volte, fece il numero dello studio di riferimento del blog e prese un appuntamento.
A questo punto, il racconto torna all’inizio.
L’Incontro col perito
John fu fatto accomodare nella sala riunioni e si trovò molto a suo agio. Gli piacevano quei colori pesca ed i quadri firmati Talani appesi (anche lui possedeva qualche litografia a casa). L’ambiente era luminoso, con la luce che filtrava dalle finestre di vetro con le veneziane abbassate per – immaginava – filtrare il calore dei raggi solari.
Il tavolo poteva ospitare almeno 8 persone, forse anche 10; era di un bianco candido che si sposava con le mattonelle 80×80 che sembravano esser fatte di travertino.
Accompagnavano due poltrone foderate di tessuto arancione, evidentemente per riprendere il colore della colonna portante ed una macchina da scrivere vecchia di almeno trent’anni ben conservata. Era una Olivetti “Valentine” Rossa. Proprio come quella che aveva suo padre a casa da qualche parte in cantina.
Fu a quel punto che entrò il perito.
Abito blu d’ordinanza, camicia celeste e mocassini marroni. Tutto molto sobrio.
Colse al volo la situazione di John.
Si trattava evidentemente di un caso di potenziale illegittima segnalazione in centrale rischi con provocazione di un danno al patrimonio netto aziendale.
Una storia non da poco. Molto più semplice a descriverla che a valutarla.
<< Vede signor John. La segnalazione è uno degli strumenti più abusati in assoluto dal sistema bancario. A volte viene utilizzata senza troppe storie. Aziende come la sua che sono messe al rientro, dopo un po’ vengono semplicemente messe a “sofferenza”. Il punto è che la sofferenza non è un passaggio immediato ed obbligatorio dopo la risoluzione di un rapporto.
Bisogna sempre rifarsi alla principale normativa del settore. Che è una normativa secondaria. La disciplina della centrale dei rischi possiamo leggerla nella Circolare 139/1991 – e nei suoi aggiornamenti. Per capire cosa ci deve o non ci deve stare in centrale dei rischi basta leggere con attenzione ogni paragrafo. Uno di questi tratta proprio i requisiti necessari per segnalare un debitore a sofferenza.
Per come la leggo io, il passaggio a sofferenza è molto delicato e non può scaturire da un mero ritardo del debitore nel pagamento di una rata né tanto meno una semplice messa al rientro, come il suo caso.
Il passaggio a sofferenza richiede una attenta valutazione da parte della banca della situazione patrimoniale dell’azienda, nel suo caso.
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Per fargliela breve, dev’essere deficitaria e del tutto assimilabile ad una insolvenza – indipendentemente dalle garanzie offerte alla banca.
Ora, non voglio entrare nei meriti di cosa si intende per insolvenza ma le assicuro che un’azienda in sofferenza sta facendo equilibrismo su un filo appeso tra due monti con sotto il vuoto. Sta traballando. >>
Fu allora che prese la parola John.
<< Dottore capisco il ragionamento, il punto è che dopo una segnalazione del genere ho provato sulla mia pelle che volenti o nolenti si viene dirottati verso una situazione molto simile all’insolvenza. Una volta appreso il “fatto” gli altri istituti non hanno impiegato molto tempo per chiudere i rubinetti generando serie difficoltà per la mia azienda.>>
<< Se non avessi avuto la forza di aprirmi con i clienti e i fornitori e trattare con loro condizioni diverse da quelle abituali, forse ora le racconterei di un’azienda non più esistente. E’ una fortuna che i miei principali clienti siano esteri, abituati a pagare prima delle consegne. Non è stato un problema per loro anticipare una parte dei pagamenti all’ordine. Non erano tenuti né abituati a farlo.
Solo con la forza di volontà sono riuscito a tenere tutti buoni e a promettere che tra qualche mese saremmo tornati alla normalità. Cosa che è successo ma non si immagini la fatica. >> chiosò John.
<<Ciò che lei mi dice >> riprese allora il perito << fa ben sperare. Come le dicevo, infatti, sofferenza allude a insolvenza – anche se non si tratta di uno stato giudizialmente accertato. Se non c’è insolvenza, manca il presupposto per la sofferenza.
L’andamento positivo della società successivo alla segnalazione è il primo sintomo della sua illegittimità e possiamo farlo valere per mezzo di un ricorso specifico. Il legale che le presenterò sarà più preciso di me sul punto. Visto che la sofferenza c’è ancora, da quello che mi dice, credo sia opportuno proporre un ricorso d’urgenza (un “700”) per ordinare la banca a cancellare.
Se ci va bene dovremmo, poi, preparare un’azione assai più complessa, che bisogna pensarla già da oggi.
Adesso le spiego tutto quello che dovremmo fare >>
John era un po’ più tranquillo. “Se quantomeno la segnalazione fosse cancellata, gli altri istituti mi renderanno i fidi di nuovo” pensò “In questo modo posso acquisire un po’ più dell’elasticità che avevo una volta. Non sarebbe male”. In fondo, era quello il danno effettivo: il non poter operare con elasticità. Che era proprio ciò che consentiva di generare valore. Non tanto a livello di fatturato. In fin dei conti, quello dava solo contezza del volume delle vendite. Era importante, ma lo erano molto di più i margini. Era riuscito a mantenere i margini, seppur ridotti. Il dover chiedere pagamenti (ancor più) anticipati aveva comportato – per invogliare i clienti – delle scontistiche maggiori rispetto al solito. Così come aveva dovuto subire delle penali nei confronti di fornitori per alcuni ritardi nelle consegne.
<< Mi dica una cosa. Mettiamo caso che il tribunale ci dia subito ragione dicendo che la segnalazione a sofferenza era illegittima. Cosa possiamo fare, noi, dopo? Mi piacerebbe far capire di essere stato molto danneggiato, nonostante fossi ancora in piedi >>
<< Questo è l’aspetto chiave ma molto complesso. Una illegittima segnalazione causa un danno. Come dire … il danno c’è, ma dobbiamo esser bravi a documentarlo con prove di ferro. >>
<< Mi dica quello che dovrei fare. >>
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<< Sono costretto a mettere le mani avanti >> proseguì il consulente. << Per la valutazione del danno da illegittima segnalazione, ammesso che il giudice lo ritenga, non esiste uno specifico, univoco ed oggettivo criterio di valutazione. Dovremmo essere molto precisi e convincenti sul punto.
Prima di tutto il danno si divide in due. C’è quello patrimoniale e quello non patrimoniale. Su quello “non patrimoniale” di solito non ci perdo troppo tempo. Mi limito a stabilirlo in una % forfettaria di quello patrimoniale rimettendo poi a giudizio equitativo del giudice.
Quello patrimoniale, a sua volta, si divide in danno emergente e lucro cessante. Ed è su quest’ultimo che a mio modo di vedere si gioca l’intera partita. Se c’è una torta da dover richiedere indietro, il lucro cessante è senza dubbio la fetta più grossa.
Ho bisogno dei bilanci della società. I tre chiusi in precedenza all’annata in cui è avvenuta la segnalazione mi possono bastare. Poi quello dell’anno in cui è avvenuto il fatto. E, giusto per scrupolo, quello successivo.
Devo capire due cose importanti.
… La redditività dell’azienda in condizioni normali e con tutti i fidi regolari ed in essere.
… L’ammontare della riduzione degli affidamenti successivamente alla intervenuta segnalazione e se questa è evidentemente collegabile al fatto in un rapporto di causa effetto.
Dopodiché posso stimare il valore della redditività persa e quanto impatta nel valore d’azienda. Bene, in questa perdita ci vedo il lucro cessante. >>
John era abbastanza confuso, adesso. Tutti questi concetti snocciolati uno dietro l’altro lo avevano mandato in confusione. Non era certo un aziendalista anche se bene o male di bilancio ne capiva qualcosa. Ogni anno passato insieme al commercialista che gli spiegava le principali voci di bilancio lo avevano forgiato. Ma qui si andava oltre. E si era effettivamente perso. Doveva fidarsi se voleva andare in fondo a questa storia.
<< E’ molto importante sapere esattamente a quanto ammontano le linee di credito potenzialmente utilizzabili dall’azienda prima della messa a sofferenza. Tra autoliquidanti, aperture di credito e smobilizzo credito, si capisce fino quanto poteva essere espansa la “Posizione Finanziaria Netta” – componente essa stessa del bilancio riclassificato >>
<< Lo stato patrimoniale deve essere sempre in perfetto equilibrio. Io amo riclassificarlo per fonti di finanziamento, ove si mette in risalto il Capitale Investito Netto, il Patrimonio Netto e la Posizione Finanziaria Netta >>
Il perito prese un blocchetto con il logo dello studio e la Mont Blanc dal taschino e disegnò uno schemettino del genere:
<< Vede questa colonna? E’ il capitale investito netto. Quello che in poche parole produce il margine operativo netto, ossia l’utile prima di imposte e spese per interessi (EBIT). Se divido l’EBIT col CIN ottengo il “ROI” – il ritorno sugli investimenti:l’indice che ci dice quanti Euro di EBIT genera un Euro di capitale investito netto. Ora vediamo come si forma il CIN >> disse il perito.
Sapeva di essere pedante e tedioso ma viste le difficoltà della pratica doveva esser certo che il suo interlocutore fosse ben consapevole di ciò a cui andava incontro. Del resto erano ancora freschi nella sua memoria tutti quei casi in cui non era mai stato possibile mettersi d’accordo per un dannato valore del danno.
Una volta infatti fu interpellato da un imprenditore per stimare il danno in una causa avviata in cui il giudice aveva già riconosciuto l’illegittimità della segnalazione e che aveva incaricato un CTU per quantificare il “pregiudizio economico”. Il perito dell’imprenditore aveva prodotto una perizia da circa 2 milioni di Euro. Lui, il dottore, aveva stimato circa 500.000 Euro – basandosi sul quesito posto dal Giudice. Tempo dopo, seppe che il CTU si bloccò a 60.000 Euro. E naturalmente il Giudice accolse la sua ipotesi.
Chi aveva ragione?
Il peritò se lo domandò spesso, anche da non dormirci la notte. Ma arrivò ad una saggia conclusione.
Nessuno. Nessuno aveva ragione.
La valutazione d’azienda e, prima ancora, l’azienda stessa, è così articolata e svariata da non avere un unico metodo di valutazione. Già stimare il valore del patrimonio netto è complicato e soggettivo quando ti commissionano il valore delle quote, figuriamoci il danno. Neppure la giurisprudenza fornisce indicazioni particolari – quanto meno non in quella pubblicata. Si legge di tutto, criteri diversi e valori diversi, ma tutti quantificati in via forfettaria e equitativa.
Una volta il perito lesse di una sentenza di un tribunale lombardo che aveva accertato che il saldo reale di un conto corrente aziendale segnalato non era passivo bensì attivo e che quindi la segnalazione a sofferenza era palesemente illegittima.
Il saldo di quel conto era così viziato da poste giuridiche nulle la cui rettifica rendeva il correntista creditore della banca. Poiché i professionisti se ne erano evidentemente accorti, avevano chiesto i danni e, udite udite, il giudice gli aveva riconosciuti. Il danno da illegittima segnalazione fu parificato in misura pari agli indebiti contenuti sul conto viziato. In altre parole, la correntista ebbe un beneficio doppio: da una parte riprese gli indebiti, dall’altra il danno risarcito fatto pari agli indebiti stessi.
Anche in quel caso, ad avviso del perito, non ci fu una valutazione analitica bensì forfettaria. Il giudice scelse la via dell’indebito. Scelta né giusta né ingiusta ma che nulla aveva a che vedere con l’azienda.
Possibile che non ci fosse un modo univoco per avere la ragionevole certezza di accertare un valore univoco per tutti?
Sarà che il perito adorava le tecniche di valutazione d’azienda così come tutti gli strumenti di “contesa bancaria”, però ne vedeva l’intersezione come via possibile e perseguibile.
Ecco perché ci teneva a render chiaro al cliente, in questo caso John, la necessità di capire gli schemi di bilancio e l’equilibrio delle fonti di finanziamento.
Disse più o meno questo.
<< Uno stato patrimoniale racconta da dove vengono i soldi e dove, l’imprenditore, gli ha messi. La formula che deve tenere a mente è CIN = PN + PFN. Significa che il capitale investito netto è formato da risorse investite grazie ai soldi presi a prestito (PFN) e quelli messi di tasca sua e dei suoi soci (PN). Maggiore è la somma del “PN + PFN”, maggiore è il CIN. Se riduco le fonti di finanziamento, mi si riduce anche il CIN, evidentemente >>
Il concetto era abbastanza chiaro per John, pareva anche troppo semplice da comprendere.
<< Ora, se riclassifico gli ultimi tre bilanci pre-segnalazione posso capire la redditività media dell’azienda prima della burrasca. Riclassifico gli stati patrmioniali ed i conti economici e ne traggo i CIN, dai primi, e gli EBIT, dai secondi. A quel punto, calcolo il ROI di ciascun anno e lo prendo come dato di fatto >>.
<< Poi esco dalla realtà dei bilanci. Capirà che i bilanci non sono fotografie perfette. Ogni anno ci sarà sempre qualcosa che impedisce all’imprenditore di allocare nel modo più efficiente possibile le risorse e al CIN di produrre reddito. Per esempio, la congiuntura economica può far sì che una parte dei fidi accordati non sia pienamente utilizzate per un dato periodo e che quindi la PFN non è espansa al suo massimo potenziale. Ma se la PFN non è tirata al massimo, non lo sarà nemmeno il CIN, ricorda? >>
John cercava di essere attento e di non perdersi nemmeno un passaggio. Stava capendo quello che lesse nel post. In pratica, il perito glielo stava ripetendo a parole in modo molto più comprensibile (meno male ebbe le p***e per andarci, in quel posto!).
<< Ecco dove vorrei arrivare. Devo capire la potenza di fuoco dell’azienda prima della sciagurata segnalazione. Lo faccio attraverso la Centrale dei Rischi. Il bilancio mi dice quanto è l’utilizzo della PFN in un dato momento. La centrale dei rischi, quanto è l’accordato massimo. Ergo, il fido massimo utilizzabile. Ergo, la PFN massima espandibile, ergo quanto è il CIN massimo a parità di PN.
Cosa accade se non ho più PFN da espandere?
Il CIN potenziale si riduce – a parità di tutte le altre condizioni – e preclude la possibilità per l’impresa di marginare. L’EBIT sarà più basso. Più basso del CIN compromesso moltiplicato per il ROI ritenuto “normale” sulla base dei risultati osservati.
Ecco che ci stiamo avvicinando al mio concetto di lucro cessante, quando si tratta di una azienda come la sua >>.
<< Quindi, in parole semplici, possiamo collegare la revoca ingiustificata degli affidamenti come perdita di possibilità di investire nell’operatività corrente – produzione, magazzino, scorte, campionari – e di trarne profitto. >> disse John.
<< Il succo è questo, sì. >>
In effetti, non era complesso come concetto, anche se il difficile doveva ancora arrivare.
<< Non è comunque tutto oro quello che luccica. Trovare l’EBIT compromesso è un procedimento alquanto oggettivo se si parte da dei dati di bilancio a consuntivo. L’importante è saper contestualizzare l’andamento dell’azienda prima della “segnalazione” e collegare ad essa gli eventi negativi successivi secondo un rapporto di causa-effetto. Altrimenti, diventa complesso capire dove sta il danno. Una delle conseguenze dirette di una segnalazione a “sofferenza” è la probabile revoca delle linee di credito in un arco di tempo che può estendersi fino a qualche mese. >>
Che era proprio ciò che era successo a John. I suoi problemi nacquero proprio dopo che le banche tolsero liquidità.
<< Devo prendere delle scelte professionali molto importanti. Per quanto tempo si ripercuote il danno, se c’è stato? A quale tasso di interesse lo devo scontare per riportarlo ad oggi? >>
Fu qui che John si perse. In che senso “per quanto tempo si ripercuote il danno”? Tutt’ora la gestione aziendale risentiva degli effetti della segnalazione, pensò.
<< Una volta stabilito il tempo in cui pensiamo che il danno sia protratto, si tratta a quel punto di definire un tasso di sconto adeguato. Tasso di sconto che risentirà dei rendimenti privi di rischio – tipo titoli di Stato – del rischio di mercato e del rischio intrinseco dell’azione. Come se si trattasse di una valutazione d’azienda vera e propria. Le risparmio i tecnicismi … >>
<< Abbiamo un vantaggio e uno svantaggio in tutta questa faccenda. Il vantaggio è che non esiste un criterio di valutazione del danno condiviso tra professionisti. Non ci sono linee guida e la giurisprudenza è molto acerba sul punto. A mio modo di vedere, basta sceglierne uno che sia possibile dimostrarlo per filo e per segno in una perizia di parte. Che sia, per forza di cose, congruo e coerente con il caso trattato. Fosse stata un’altra realtà aziendale, la Sua, le avrei raccontato di altre metodologie di calcolo.
In caso di start-up, per esempio, una eventuale segnalazione sarebbe stata deleteria sotto altri punti di vista. Avrebbe colpito il valore degli investimenti iniziali fatti. Il ragionamento sulle fonti di finanziamento e sulla redditività avrebbe avuto poco senso, a meno che un perito non fosse tanto bravo da dimostrare il potenziale reddituale dell’azienda. Occorrerebbe un business plan sul quale l’imprenditore ha investito e le banche hanno prestato soldi. Ma non è questo il nostro caso.
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Nel caso di una start-up ritengo più coerente un principio di stima del danno in termini di erosione del patrimonio netto e/o del capitale investito netto (CIN). A quanto ammonta l’investimento fatto per avviare la start-up? A quanto ammonta il patrimonio netto necessario per rendere operativi gli investimenti?
Sembra apparentemente più semplice rispetto alla valutazione del lucro cessante come per il suo caso, ma non lo è, affatto. >>
L’imprenditore si sentiva confuso. Aveva appreso diverse informazioni, nozioni e compiti da fare. “Far valere il danno per lucro cessante, se ho capito bene, è un secondo passaggio. Prima occorre portare a a casa l’illegittimità della segnalazione” pensò. “Solo dopo il danno va dimostrato. Devo subito reperire
… la centrale dei rischi storica risalente ad almeno ⅔ anni prima della segnalazione che tanto mi ha intralciato l’attività e distrutto il valore
… i bilanci degli ultimi 3 esercizi in modo che il perito possa riclassificarli”
“Dovrei già avere tutto quello che serve”
A quel punto, John aveva chiaro quali sarebbero stati i suoi compiti
<< Si ricordi sig. John, i bilanci a cavallo temporale della segnalazione ci servono per compiere il primo step, ossia per supportare l’illegittimità della stessa. Come le dicevo prima, il concetto di “sofferenza” si avvicina molto a quello di insolvenza anche se non sono per forza sovrapponibili. Se dai bilanci facciamo vedere che l’azienda ha i fondamentali solidi – EBIT, per esempio – e che le criticità patrimoniali non sussistono, abbiamo senza dubbio un punto a favore >>.
Tutto gli era molto chiaro. Sebbene la situazione, a pensarci bene, era molto amara.
John rifletteva su quanto potere aveva la banca, quasi gratuito e quanto poco ne aveva un’azienda. Decidere di segnalare un’azienda a sofferenza è tecnicamente semplice, farla rettificare è dannatamente difficile.
Se non ti sta bene, devi rivolgerti a dei professionisti esperti e far causa, pensò l’imprenditore. Anzi, una doppia causa, come gli aveva spiegato il perito. La prima, per far cancellare la segnalazione. La seconda, per farsi riconoscere il danno – tutto da dimostrare.
Ma andare in causa comporta costi. Costi in termini di denaro, tempo, stress mentale e fisico. Sapeva già che tutta questa attività avrebbe cambiato in modo radicale l’azienda ed il suo modo di operare. Anzi, lo aveva già cambiato.
E lo avrebbe impegnato molto. Spero solo che tutto questo non mi distolga dal mio “core business”, pensò. Il danno a quel punto sarebbe doppio per me, se non triplo.
Però rifletti John: davvero vuoi lasciar perdere la possibilità di ottenere giustizia? Se non fai nulla, tutto resta allo stato attuale. Ti impegni per riportare l’azienda in condizioni ottimali, senza sapere quanto tempo ci vorrà. La ripresa sarà senz’altro più lenta – senza un po’ di respiro dal credito e la flessibilità che dà nei momenti in cui le spese si accumulano. La segnalazione segnerà la Centrale dei Rischi per un bel po’ e con molta difficoltà i direttori di banca ti fileranno.
Dall’altro lato far causa ti costerà. Ma, se ci pensi, quanto ti costerà non far nulla?
Un po’ come quando si parla di formazione del personale. Ripensava al detto di Benjamin Franklin quando disse che “Un investimento in conoscenza paga sempre il massimo interesse” … Tradotto: se hai paura dei costi di formazione non ti immagini quanto ti costa l’ignoranza.
Nella sua testa, paragonò l’ignoranza con il non far nulla – pur non sapendo il perché.
John sapeva bene che uno degli scopi dell’imprendiore è quello di semplificare. Avviare una doppia causa non lo convinceva. Però era necessario, pensava. Se ho davvero ragione, devo anche sbrigarmi, pensò. Perché ogni giorno che resto nell’indecisione comporta un giorno in più di attesa. Ed una causa durerà qualche anno. Io devo tornare grande, devo tornare a crescere.
Sì, credo proprio che seguirò il perito.
<< Dottore, mi dia un paio di notti per conferma ma le assicurò che andrò avanti. Il danno per me c’è stato. Avrei perso tutta la mia reputazione, la mia credibilità, la fiducia di clienti, fornitori e dipendenti. Non me lo posso permettere. Lasciare tutto com’è mi costerà molto di più in futuro. Armiamoci ed andiamo avanti. >>
I due si strinsero la mano. John si alzò, indossò il suo amato casentino ed uscì.
Era ancora presto per pranzo, ma decise di non tornare in ditta. Era un amante della montagna e portava dietro con sé nel bagaglio della sua Macan® scarpe da trekking, maglia termica Spark® e pantaloncini. Avrebbe fatto un’ora di camminata tra i boschi per prendere la scelta definitiva.
p.s. Se questo format ti piace (è già il terzo che pubblico), rende più semplice l’idea di fondo, fammelo sapere iscrivendoti al form qui sotto o cliccando nei vari link specifici sparsi nel testo …