La Cassazione 15130/2024 ha messo pietre e paletti su molti aspetti che riguardano i mutui. Se ha penalizzato i mutui a tasso fisso, con rata fissa e piano di ammortamento allegato, gli spazi lasciati ai “variabili” hanno un che di prateria sterminate.
Sì, certo, si parla di mutui.
Dopo aver letto e riletti i passaggi, mi sono posto questa domanda.
Che fine fanno i leasing dopo che la sentenza della Cassazione ha dato spiragli sui mutui?
Lasciamelo dire.
La sentenza ha molti pregi e difetti, come tutte le “sezioni unite”. Ho scritto cosa ne penso in più versioni della mia newsletter (se te la sei persa, iscriviti cliccando su questo link).
Se sei un imprenditore inesperto, ho messo nero su bianco una semplice “guida definitiva” che ti dà istruzioni su come muoverti prima di mettere tutto per le mani avvocati o commercialisti.
A questo link trovi una serie di regole di comportamente che potrebbero fare al caso tuo.
Se invece sei un operatore, qui trovi sei elementi che trovo sempre molto utili quando ho a che fare con mutui e finanziamenti in generale.
Questo post va oltre.
Se hai già avuto modo di leggermi in vari post o nella serie di newsletter settimanali, avrai capito quanto tengo ai leasing. Troppo spesso dimenticati, a mio modo di vedere. In questo post ti ho spiegato il perché di tanta premura.
Se desideri saperne di più, ti consiglio caldamente di iscriverti alla newsletter.
A questo link trovi tutte le informazioni del caso. Fallo subito !
Ma torniamo ai nostri “bistrattati” leasing.
I leasing sono strumenti atipici. Diversi rispetto ai mutui, sotto un profilo di rischio, oltre che giuridico. Ma molto simili negli aspetti tecnici.
Ad esempio nella struttura matematica.
Se sei un appassionato di ricostruzione di contratti bancari e finanziari, sai meglio di me che per la determinazione di un canone costante tu devi avvalerti di una formula matematica di equivalenza finanziaria – detta in modo semplice.
La regola è che il valore attuale del debito oggi è pari alla somma dei valori attualizzati dei pagamenti futuri. Tra questi ci sta ovviamente il prezzo di opzione di riscatto finale, che altro non è una rata di importo maggiore collocata nell’istante finale del contratto.
Lascia perdere per un attimo la finalità di un leasing.
Per questo post, a me (e a te!) interessa sapere se è di tipo traslativo – finalizzato, come la Cassazione ci insegna – all’acquisto della proprietà del bene sottostante. Tanto che ogni canone può essere comprensivo di una quota prezzo, che tu eserciti solo corrispondendo il riscatto finale, appunto.
Questo è ciò che vedono i giuristi.
Atterriamo sul pianeta dei tecnici.
Pensaci bene.
Qualsiasi legge di equivalenza finanziaria necessita di un tasso di interesse per implementarla e “chiuderla”, dico bene?
Il fine della chiusura è quantificare un canone costante – comprensivo, non sto manco a dirlo, di capitale ed interesse.
Il canone costante risente:
- del valore del tasso di interesse scelto,
- del numero di pagamenti e relativa frequenza,
- il valore del debito residuo.
Ma non solo.
Nel leasing “pesa” anche il prezzo fissato per l’opzione di riscatto. L’ultima maxi rata, per intendersi.
Questa viene di solito fissata come una % secca del valore del bene sottostante. Dal 10% al 25% se si tratta di un immobile.
Una volta capito qual è il “prezzo” finale, hai tutto ciò che serve per determinare il canone costante.
E una volta determinato il canone costante, puoi stendere il piano di ammortamento con distinzione delle singole quote di interessi e capitale.
Il valore del debito iniziale non sarà l’importo del leasing. A questo devi dedurre
- l’importo del maxi canone iniziale
- il valore attuale del prezzo di opzione di riscatto.
Fatto 100 il valore del leasing, 15 l’opzione di riscatto, il debito da cui partire per quantificare il canone sarà
100 – (15 / a-)
Dove “a-” è il fattore di attualizzazione necessario a scontare la misura il “prezzo” dal giorno della scadenza prestabilita a quella iniziale.
Non sai da che parte rifarti per a) costruire il canone e b) determinare il piano di ammortamento ?
Benvenuto nel club dei milioni di imprenditori e professionisti che hanno in mano uno più contratti ma che non hanno la più pallida idea di come funzionano.
A questo link trovi la guida per farlo – secondo in regime di capitalizzazione semplice.
Scommetto che leggendo questo racconto quasi quasi ti ci ritrovi …
Ci ho preso?
Ma andiamo oltre.
Dopo il 29/05/2024 ho aggiornato in fretta e furia il post che avevo scritto in merito alle mie aspettative – solo in parte confermate – su principi che avrebbero caratterizzato la sentenza uscita.
E alla fine ne sono usciti incolumi solo i mutui a tasso fisso.
Per essere precisi – se già non hai dato una sbirciata QUI – SOLO i mutui …
… con tasso fisso per l’intera durata del rapporto
… con rata fissa per l’intera durata del rapporto
… il cui piano di ammortamento è allegato al contratto fin dall’inizio.
Così posto – apri bene le orecchie – non ci sono vizi di indeterminatezza che tengono. Né tanto meno violazioni alle norme sulla trasparenza.
In altre parole, il contratto è salvo.
Facciamo un passo indietro.
Ti ripeto di nuovo la domanda iniziale.
… e i leasing? Hanno un qualche collegamento con quanto detto qui?
So già a cosa stai pensando.
Hai appena scrollato in alto all’esempio di ricostruzione del canone di leasing. In questo ti dicevo che la formula di equivalenza finanziaria è essenziale per determinare l’equilibrio.
Alla cui base ci sta il regime finanziario.
Il tasso di leasing (o meglio … interno di attualizzazione …) lo impiego in composto o in semplice?
Tra poco ci torniamo.
Se hai riletto attentamente le poche righe qualche pagina più in alto ti sarai reso conto – altrimenti, te lo dico io adesso – che la struttura di un leasing finanziario non si discosta poi molto da un mutuo.
La domanda da 1.000.000 di Dollari è …
… ma a che tipo di mutuo lo accosti?
Ad un mutuo a tasso fisso o variabile?
Se quanto detto fin qui ti intrippa, segui questo ragionamento.
La 15130/2024 parla di mutui a tasso fisso, non certo di leasing. Su questo siamo d’accordo.
Quindi se interpreti la sentenza alla lettera pensarai che “non ce ne frega nulla dei leasing”.
Potresti aver ragione e te ne dò atto.
Ma voglio far anche l’avvocato del diavolo.
Ed intendo provocarti dicendo che – da umile commercialista e consulente tecnico – potremmo estendere la sua portata anche ai leasing.
Ecco come.
Se ci pensi, un leasing traslativo non è altro che un finanziamento a rimborso rateale – sul piano meramente matematico e tecnico.
Le formule di calcolo necessarie per la costruzione sono le stesse valide per i mutui.
E non sono certo io a dirlo.
In una recente newsletter ho raccontato di una avvocato che all’indomani della sentenza sprizzava gioia da tutti i pori perché il suo ctp avrebbe confidato che i leasing si sarebbero salvati tutti. Proprio perché hanno il canone costante fino all’inizio (come i mutui a tasso fisso …).
Sai che c’è?
Io non la penso proprio così.
Lascia che contamini il tuo pensiero in modo che tu possa rifletterci qualche minuto.
Un leasing è di solito costruito con un tasso fisso … almeno all’apparenza.
Il canone è costante, vero, ma all’apparenza …
Tuttavia, infatti, potremmo domandarci…
C’è il piano di ammortamento ? E che mi dici dell’indicizzazione?
Molto interessante.
Se il piano di ammortamento c’è, rientriamo nel campo di protezione delle Sezioni Unite. Tu, investitore, sai a quanto ammonta il canone e la sua composizione fino alla maxi rata finale.
A meno che non cambi qualche parametro nel corso della vita del contratto.
Mi spiego meglio.
In un post specifico mi sono preso la briga di raccontarti quanto una clausola di indicizzazione possa compromettere la certezza del costo di un contratto di leasing.
Ed in effetti una costruzione del genere fa riflettere.
Una clausola di indicizzazione ben congegnata può trasformare il leasing in qualcosa di diverso rispetto a quello che tu hai accettato e controfirmato.
A seconda del valore preso come “tasso base” di confronto del parametro indicizzato, il canone pattuito può cambiare in un istante e per sempre.
Lascia che ti faccia un esempio facile facile.
Poniamo che tu sottoscriva un leasing da 100.000 Euro con un capannone sottostante.
Il tasso di leasing è del 10% ed il valore di ciascun canone è di Euro 1.000. L’opzione di riscatto vale 10.000 Euro.
Un piano di ammortamento dettagliato è annesso al contratto.
Il contratto stesso prevede una clausola di indicizzazione che consente alla banca di conguagliare il canone ad ogni scadenza.
Poniamo che il parametro di riferimento sia l’Euribor 3 mesi (nel momento in cui scrivo quota 3,764), calcolato come media del mese precedente il canone da conguagliare.
Tieni d’occhio il parametro base alla partenza.
Se la misura convenuta è inferiore rispetto a quella quotata alla data di stipula del contratto, c’è subito un differenziale da mettere in conto che ti penalizza.
Il primo canone sarà già diverso – maggiore – di Euro 1.000. Metti che sarà di 1.050.
Scommetto che avrai difficoltà a capire come mai non paghi il pattuito.
Ora, la domanda che ti pongo è questa.
Un leasing a tasso fisso, con canone fisso e piano di ammortamento allegato MA INDICIZZATO, si considera “variabile” o “fisso”?
Per come la vedo io, sul piano formale è fisso, ci mancherebbe. Di fatto il tasso di leasing non cambia, all’apparenza.
Sul piano sostanziale, però, è un variabile a tutti gli effetti.
Pensaci.
Tu non hai il controllo di un contratto simile.
Puoi solo capire nell’istante iniziale se la clausola di indicizzazione modifica il costo fin da subito oppure no. E se il contratto lo dice.
Torniamo all’esempio di sopra.
Poniamo che tu sia in grado di capire che il primo canone sarà di 1.050 anziché 1.000.
Il tasso interno di attualizzazione non sarà certo il 10%, ma più alto. In capitalizzazione semplice non c’è alcun dubbio. Ma anche in capitalizzazione composta.
Segui l’iter descritto in questo post e te ne accorgerai anche tu.
La clausola di indicizzazione può nascondere un costo aggiuntivo al contratto che puoi quantificare fin dall’inizio.
Prendi nota della maggiorazione da apportare alla prima rata per effetto di questa – se il contratto ti consente di dare fin da subito una quantificazione precisa.
Il canone più alto fin da subito rende il prezzo del contratto già diverso da quelle noto che tu hai concordato, anche se il leasing è a tasso fisso e con piano di ammortamento allegato.
Messa così non sono poi così convinto che possa rientrare tra la categoria blindata dalla SU 15130/2024 – ammesso che i leasing siano accostabili a mutui, per i giuristi.
A mio avviso si.
Ragionando da commercialista e perito di parte, la tecnica matematica per la determinazione del canone è la medesima rispetto ad un mutuo, si che si parli del regime composto che di quello semplice.
Come ti ho detto poco sopra, si tratta “solo” di scontare ad oggi il valore dell’opzione di riscatto finale e decurtarlo dal capitale iniziale. Dopodiché ti puoi ricavare l’importo dei canoni costanti, ammesso che tu conosca il regime finanziario.
Per come la penso, ma potrei senz’altro sbagliarmi, ritengo opportuno tener fede al regime semplice, se non vi è la composta sottoscritta.
A quale tasso di interesse però?
Se tu ritieni giusto accostare un leasing ad un mutuo a tasso fisso (ricorda, con piano di ammortamento allegato) allora non hai troppo scampo, letto il principio di diritto della “sezioni unite”.
Quel contratto lì verrà considerato determinato, come vorrebbe il nostro “amico” avvocato che ti ho rammentato all’inizio del post.
Se invece sei un pirata come me, è ovvio che un leasing del genere possa essere accostato ad un finanziamento a tasso variabile. Nella forma magari non lo è, ma nella sostanza senza dubbio sì.
Pensaci bene.
Il canone fisso è solo un contentino. In realtà la clausola di indicizzazione gioca brutti scherzi rendendolo variabile, quel benedetto canone.
Le lamentele che ho sentito in questi ultimi tempi da locatari imbufaliti non possono che confermarlo.
Il rialzo del tasso Euribor negli ultimi due anni ha fatto lievitare l’effetto dell’indicizzazione e, per effetto, l’importo dei canoni. Anche di parecchio.
Dove c’è effetto sorpresa c’è sempre un qualcosa di occulto non conosciuto dal cliente.
Te lo dico io.
C’è un interesse occulto da quantificare.
E se riesci a quantificarlo, hai le carte per spendere la nullità del contenuto tipico ex art. 117 c. 4 TUB. Anche se si tratta di leasing, appunto. Anche se il tasso di leasing è fisso ed ha il piano di ammortamento allegato.
Se non rientra nei rapporti a tasso fisso per il sol fatto di avere una clausola di indicizzazione possono valere queste condizioni e procedure di calcolo.
Calcola il canone in regime di capitalizzazione semplice.
A questo link puoi scaricare la guida in 7 passi per farlo.
E’ più basso rispetto a quelli indicato sul contratto ?
Bene, sai già che …
… o la banca non ha utilizzato il regime semplice,
… oppure, se lo ha fatto, ha impiegato un tasso interno di attualizzazione più alto rispetto a quello da te sottoscritto.
In ogni caso, ti accorgi già da qui che c’è un differenziale poco (o per nulla) giustificato.
Si tratta del (per me) famoso “maggior costo del prestito” a causa della “mancata esplicitazione nel contratto” “del sistema ‘composto’ di capitalizzazione degli interessi (Cass. Civ. SU 15130/2024 – pag. 23 lett. a))
A questo punto ti posso consigliare di procedere così.
Seguimi passo passo.
Se hai già letto altri post, newsletter o una delle guide che ho messo a disposizione avrai intuito ogni passaggio.
Trattandosi di una guida completamente gratuita, questa, cercherò di renderli ancora più chiari in modo che tu possa capire con certezza cosa farne del contratto di leasing.
Ready? Let’s go.
Prima di tutto devi capire se il leasing è variabile oppure no.
Te l’ho detto sopra.
Non soffermarti sul fatto che il canone è costante ed il tasso di interesse fisso.
A mio parere, ma potrei essere smentito oggi stesso dalla Cassazione, un leasing indicizzato rientra nell’insieme del tasso variabile.
C’è spiraglio.
Se la risposta alla domanda è sì, vai avanti con le indagini.
Se il regime composto non è pattuito in modo espresso, ti devi sincerarti che quanto meno il canone sia elaborato in “semplice”, giusto?
Bene.
Passo 1)
Come prima cosa (seconda in realtà) devi calcolare il canone costante in regime semplice applicando il saggio iniziale.
Non sai come procedere?
Per tutte le istruzioni all’uso ti consiglio di far tua la guida che ho appositamente scritto.
A questo link ti troverai direttamente sulla pagina.
Passo 2)
Confronta il canone con quello riportato sul contratto calcolando la differenza tra i due.
Passo 3)
Esplicita la differenza tra il “tuo” e quello contrattuale
Passo 4)
Moltiplica il differenziale singolo per il numero dei canoni complessivi
…
Bel colpo.
Hai trovato il costo “aggiuntivo” prodotto dalla capitalizzazione composta che, a quanto pare, non è stata pattuita.
Questa semplice procedura è di per sé sufficiente a dimostrare il presupposto di nullità ex art. 117 c. 4 TUB richiamato dalla Cassazione.
Ma potresti voler essere ingordo, e ti assicuro che nella contesa bancaria non guasta, a tal punto da mostrare un elemento ulteriore.
Il (maggior) tasso effettivo praticato – o meglio, il maggior tasso interno di attualizzazione.
Riprendi in mano il valore del canone che ha valorizzato la banca sul contratto.
Ti invito ad una piccola suggestione.
Fai finta che quel canone costante, la banca, lo abbia determinato in regime semplice.
Potresti domandarti, ed è lecito farlo, quale tasso di interesse è necessario per rendere l’operazione equivalente …
… con quel canone
… e con quell’opzione di riscatto
Ti basta inserire nella formula che ti ho riportato sopra l’importo del canone costante. Ti manca solo di beccare il valore di “i”. Giusto?
Arrivato a quel punto, taaac. Il gioco è fatto.
Il valore di “i” sarà di sicuro più alto di quello convenzionale. Non ci vuole troppa scienza per provarlo.
Pensaci un attimo.
Hai applicato l’aliquota contrattuale e hai ricavato un canone più basso di quello “bancario”, giusto?
Il rovescio della medaglia è alquanto immediato. Per chiudere un piano di ammortamento, in regime semplice, con un canone più alto, il saggio necessario è, per forza, dico per forza, più lato.
Ti torna?
Molto bene. Se hai seguito questi semplici passi puoi dire di avere dimostrato
… per prima cosa, il costo aggiuntivo “occulto” in termini di maggiori interessi (prezzo);
… e, per non farsi mancare niente, il costo aggiuntivo “occulto” in termini di tasso di interesse (interno di attualizzazione).
Hai bisogno di ulteriori elementi per essere ancor più certo?
Vuoi davvero essere più ingordo/a di così?
Bene, perché oltre al primo e al secondo, ti offro pure il dessert.
Mettiti comodo. Hai solo bisogno di carta, penna e un po’ di pazienza. Devi segnarti alcuni dati.
Hai preso tutto ciò che serve?
Bene, riprendiamo la clausola di indicizzazione che ti avevo rammentato poco più sopra in questo sgangherato post.
Permettimi però un piccolo bagno di onestà: non posso aiutarti se non capisco che formula prevede il contratto. Gli elementi comuni che posso dirti di aver rilevato tra tutti i contratti che ho potuto analizzare in questi anni sono:
… un parametro base (es. quotazione del parametro Euribor ad una certa data, o la media di valori di un certo periodo)
… un parametro di confronto sempre in misura fissa
… il periodo oggetto di conguaglio
… il valore del debito residuo del leasing
Le formule che mettono insieme tutti questi elementi sono tra le più varie, e non starò certo qui a rappresentarle tutte.
Voglio però che tu ti soffermassi su due aspetti, prima di chiudere.
Guardati bene dal parametro base e dal debito residuo.
Il primo potrebbe non rispecchiare il valore di mercato attuale che la banca ha preso come riferimento per indicizzare il canone (rendendolo, di fatto, variabile).
In questo articolo ti ho descritto per filo e per segno come la banca può alterare fin dall’inizio il prezzo del contratto che tu (pensavi) di aver concordato.
Poniamo che la clausola di indicizzazione sia ancorata al valore dell’Euribor 3 mesi puntuale alla data di decorrenza di ciascun canone. Poniamo che questo valore, alla data della firma, sia del 3,00%. Se la banca fissa il tasso base a 3,2%, parti già svantaggiato: il primo canone, e probabilmente i successivi, saranno maggiori di quelli previsti.
Una bella beffa, non trovi?
Dimostrare questo trucchetto ti porta a concludere che il tasso interno di attualizzazione “vero” è più alto – oltre a quanto detto sopra, e ancora una volta – di quello contrattuale.
Altro motivo di nullità ex art. 117 c. 4 TUB, per come la vedo io, dal basso della mia umile esperienza.
Per non parlare del fatto che l’omessa allegazione del piano di ammortamento non ti consente neppure di metterla in pratica, quella clausola di indicizzazione. Come fai ad esser certo/a che il conguaglio che paghi (o che ti vedi accreditare) sia effettivamente quello giusto?
Se non hai il piano di ammortamento, non puoi saperlo.
E qui, ho detto tutto.
CONCLUSIONI
Se posso riassumere questo post in poche righe ti direi questo.
Il leasing non è affatto morto dopo l’ “uscita” – manco fossimo al cinema – della sentenza n. 15130 della Cassazioni a “sezioni unite”.
A mio modo di vedere, da umile commercialista quale sono, puoi sempre valutare la possibilità di render nullo il tasso interno di attualizzazione proponendo un calcolo a tasso di interesse sostitutivo ex art. 117 c. 7 TUB.
“sì, certo, prova tu ad eccepirlo visto che la 15130/2024 della Cassazione salva tutti i contratti a tasso fisso e con rata fissa”
… e con piano di ammortamento allegato, aggiungerei.
Il fatto è che hai dannatamente ragione, se paragoniamo un leasing ad un mutuo a tasso fisso.
Ma nella sostanza, quello che posso dirti è che non tutto è come sembra.
Un leasing traslativo, per quanto possa apparire come un “tasso fisso”, nasconde tutte le criticità proprie di un variabile. Perché di fatto il suo “prezzo” non è conosciuto per davvero fin dall’inizio.
Colpa della clausola di indicizzazione e del conguaglio dei canoni.
L’indicizzazione modifica i canoni e i canoni modificati modificano il prezzo iniziale, giusto?
E poi, se manca il piano di ammortamento allegato?
Di certo, manca uno dei requisiti previsti dal principio di diritto della Cassazione, non trovi?
Se così è … dacci dentro e segui i passaggi che ti ho descritto sopra e qui ti riprendo all’osso.
- Calcola il canone costante in regime semplice applicando il saggio iniziale (qui troverai istruzioni più avanzate).
- Confronta il canone con quello riportato sul contratto calcolando la differenza tra i due.
- Esplicita la differenza tra il “tuo” e quello contrattuale;
- Moltiplica il differenziale singolo per il numero dei canoni complessivi
Questo iter di fornisce – se c’è – il costo “aggiuntivo” prodotto dalla capitalizzazione composta non pattuita, sufficiente a dimostrare il presupposto di nullità ex art. 117 c. 4 TUB richiamato dalla Cassazione.
Prendi atto della clausola di indicizzazione e soffermati sul parametro base preso come riferimento dalla banca.
Se supera quello quotato alla data di stipula, è probabile che il “prezzo” del contratto sia stato artificiosamente modificato, proprio come ti ho descritto qui.
Adesso, per tua felicità, ho concluso. Per davvero.
p.s.
Grazie per la lettura e per la preziosa attenzione che hai prestato fin qui. Potresti coltivare numerose altre idee e spunti pratici con la mia newsletter settimanale. Ogni venerdì condivido con gli iscritti soluzioni, racconti e molto altro su tutto ciò che attingo dalla esperienza quotidiana nella “contesa bancaria”.
E’ semplice.